Gastone Castellini, dare la vita per fare grande la Vespa

La storia di Gastone Castellini si inserisce nella scia degli eroi tragici, quelli che danno la vita per la cosa in cui credono. E non importa se questa cosa riguarda gli altri oppure solamente se stessi: l’importante, nel momento in cui bisogna dimostrare di esistere, si faccia quello che si deve fare, costi quel che costi. 

Non è retorica, è realtà. Gastone Castellini muore mentre lavora, mentre corre, mentre tenta di portare il proprio nome, e quello di chi lo ha mandato in quel preciso momento in un determinato posto, il più in alto possibile. Non guarda in faccia a nessuno, spinto da un carattere che spesso lo ha condotto al limite, privo di paure e di scrupoli. Non è un sant’uomo, anche se da poco ha messo la testa a posto, ovvero si è sposato e ha smesso di “correre dietro alle gonnelle”. Prima di mettersi a correre su due ruote si era cimentato nel pugilato, un altro sport che ti mette faccia a faccia con il tuo carattere, con il dolore fisico, con il desiderio di superare l’avversario che è dentro di te.

Lo allena il signor Coggiola, uno che di mestiere fa l’autista e lavora parimenti per Piaggio, negli anni tra il 1948 e il 1950. Un “romano de Roma”, basso e con le gambe storte, che più avanti pare faccia da insegnante pure a un certo Alessandro Mazzinghi, che nella boxe farà molta più carriera di Gastone.

Gastone nasce a Bolzaneto il 16 luglio 1922. Oggi Bolzaneto è un quartiere di Genova, all’epoca un comune indipendente che entra a far parte della “Grande Genova” voluta dal fascismo nel 1926 con l’accorpamento di tutte le località limitrofe, ed è situato nella Val Polcevera tra Rivarolo e Pontedecimo. Suo padre Vittorio (figlio di Garibaldo Castellini) è un pontederese della classe 1895, ed è entrato nello stabilimento di Pontedera nel 1925 come aggiustatore motorista (la famiglia era rientrata in Toscana l’anno prima della nascita di Gastone dalla Liguria). Nel 1938 diviene capogruppo alla manutenzione in sala prove, si trasferisce a Biella nel 1944 (da dove rientra il 1° gennaio 1946) e nell’ottobre 1947 ottiene identica qualifica nell’officina sperimentale, non ancora S.T.E.P. Rimarrà in azienda sino al giugno del 1958, quando sarà dimissionario per ragioni di salute e di età. 

Gastone fa il proprio ingresso nell’azienda il 22 ottobre del 1935, il giorno dopo essersi presentato all’ufficio personale, con la qualifica di apprendista per i lavori pesanti. Ha tredici anni ed è pieno di volontà, tanto da venir premiato con un aumento di paga dopo un anno di lavoro “perché meritevole”. Abita con babbo Vittorio e mamma Giulia Libera, Ceccotti da ragazza, nel centro di Pontedera, in via F.lli Marconcini, a trenta metri dal corso principale della città. Con gli anni il suo carattere un po’ spigoloso prende il sopravvento, e nel giro di dodici mesi riceve numerosi richiami e multe per il suo comportamento, talvolta irrispettoso delle gerarchie e dei ritmi di lavoro, e addirittura per due volte viene sospeso per un giorno (punizione che all’epoca può rappresentare il preludio al licenziamento). Nel 1942, sorpreso a fumare in reparto, è sospeso per cinque giorni. 

Assieme al padre nel 1944 si trasferisce a Biella al termine di una situazione un po’ controversa, che lo vede prima licenziato per riduzione di personale ma subito reinserito in forza all’azienda. Nel novembre del ‘44 è alla manutenzione, e alla fine del luglio del 1945 nuovamente allontanato (ma poi riammesso tra i ranghi) con la motivazione “perché indesiderato dalla massa”. Il 26 novembre successivo, mentre si trova a Lissona, presenta le proprie dimissioni, ma anche questa volta nulla di concreto accade, e Gastone rimane al proprio posto di lavoro.

Il primo ottobre del 1947 lavora in qualità di motorista e cambia due volte reparto prima di passare l’anno seguente ad addetto al reparto prove nel marzo del 1949. Il primo settembre di quell’anno viene trasferito alla S.T.E.P. con la qualifica di “addetto al reparto collaudi e prove”. Ha solamente la terza elementare, come il padre e tanti suoi colleghi, ma questo non impedisce a lui e a nessun altro di mettersi in evidenza. Nel frattempo, il 9 febbraio del 1948, si è sposato con Nicla Biasci, una casalinga poco più che diciottenne di Pontedera, e va a vivere con i genitori nella nuova abitazione al Villaggio Piaggio. 

Il battesimo del fuoco per Gastone è la partecipazione alla “Mille miglia motociclistica”, che si svolge tra il 23 e il 25 luglio del 1949 su un percorso di complessivi 1.925,200 chilometri in tre tappe, organizzata dal Moto Club Roma e valida come terza ed ultima prova del Trofeo del Turismo, un vero e proprio Campionato Italiano di regolarità a squadre. Il 23 luglio si corre da Roma a Firenze via Grosseto all’andata e passando da Arezzo, Orvieto e Viterbo al ritorno per un totale di 668,600 km. La seconda frazione vede un percorso Roma – Spoleto – Macerata – Recanati – Giulianova – L’Aquila – Avezzano – Roma per 635,4 km, mentre la terza tappa parte da Roma per raggiungere Napoli attraverso il Parco Nazionale d’Abruzzo e Caserta per poi tornare nella capitale via Formia, Frosinone e Velletri. In totale sono diciassette le province toccate nel Centro-Sud della penisola, e si attende il pubblico delle grandi occasioni. Piaggio iscrive numerosi piloti e due squadre: Gastone Castellini porta il numero 21, e con lui ci sono Biasci (n.6), Spadoni (9), Romano (12), Merlo (20), Fassorra (27), Opessi (30). Non è una “corsetta”: al via anche personaggi del calibro di Bruno Francisci (Guzzi 500), Bruno Ruffo (Morini 125), Primo Liberati (Cucciolo 60), Umberto Masetti (Lambretta 125). 

Le due squadre in Vespa sono formate da Biasci, Merlo e Opessi la A, Spadoni, Romano e Fassorra la B. Gastone rimane fuori, in quanto essendo il meno esperto non si vuole far risentire la squadra in caso di problemi che lo possano coinvolgere. Tutte e sette le macchine arrivano al traguardo: a contare penalità, esattamente quattro, è proprio Gastone, rimediati il secondo giorno, assieme a Merlo (un punto). Peccato che, a causa di un errore nell’affrontare il percorso, sia lui che Argo Fassorra vengano squalificati avendo saltato il controllo orario fissato a Rocca Priora. 

La squadra B, che era giunta a pari punti con la formazione della Sertum (Fornasari, Benzoni, Ventura), viene cancellata dalla classifica così come la Innocenti B, anch’essa eliminata pur essendo vergine di penalità in quanto uno dei suoi componenti non ha più i punzoni alla ruota di scorta. Nel Trofeo annuale riservato alle industrie, Piaggio si piazza seconda alle spalle della Sertum con cinque punti. Nell’aprile del 1950 Gastone Castellini prende parte al Trofeo di Genova, per poi prepararsi alla partecipazione allo Scudo del Sud, prima prova dell’edizione di quell’anno del Trofeo della Regolarità. Allo Scudo del Sud, in programma dal 9 all’11 giugno sono previsti complessivamente 1.714 km in tre tappe: Foggia-Cosenza (613 km), Cosenza-Taranto (489 km) e Taranto-Foggia (612 km). Le altre prove in calendario sono Milano-Gorizia-Milano dell’1 e 2 luglio e la Valli Bergamasche (13-15 agosto). 

La partenza della prima tappa per i 67 iscritti è fissata da Foggia alle 4,30 del mattino di venerdì 9 giugno: gli scooter partono per ultimi, dato che per loro la media da rispettare è inferiore rispetto alle cilindrate maggiori. La prova viene definita “durissima” dalla stampa ancor prima che inizi: parola degli esperti di quelle strade tra Puglia e Calabria. Per la cronaca, la gara sarà vinta ex-aequo da cinque piloti (Benzoni, Fornasari, Masserini, Francesco e Orlando D’Ignazio), con Lambretta A che si aggiudica la classifica per squadre. Ma tutto questo, per noi, diviene adesso solo un dettaglio statistico. Durante lo svolgimento della prima tappa, accade infatti la tragedia che pone fine alla sfida alla vita di Gastone Castellini.

Ci troviamo in Basilicata, terra di sassi. Tra il controllo orario di Potenza e quello di Sala Consilina (in provincia di Salerno), all’altezza della località chiamata Tito, Gastone sbaglia strada senza ovviamente accorgersene. A mezzogiorno è partito da penultimo della lista per affrontare la seconda semitappa della giornata, alle sue spalle solamente il compagno di squadra Cau (con lui nella foto in alto al Circuito di Siena nel 1950). Nei pressi di quel piccolo paese chiamato Tito c’è un bivio, e da lì si deve prendere verso destra per scendere, lungo uno sterrato, in direzione del controllo orario. Quando si accorge dell’errore, Gastone gira la Vespa e si butta a capofitto nell’impresa: recuperare il tempo perduto e rimettersi sul percorso giusto. A un certo punto, sulla sua strada trova un camion Lancia Esaro proprio su una curva che segue l’attraversamento di un ponte: tenta di sterzare drasticamente, ma la manovra non è sufficiente, anche perché lo sterrato non gli consente di manovrare la sua Vespa alla perfezione. 

L’impatto è inevitabile, Gastone finisce incastrato sotto la coppa del mezzo e muore sul colpo a causa di varie lesioni interne e di una frattura alla base del cranio. Sono le ore quattordici esatte, recita l’atto di morte, proseguendo con l’indicazione che l’incidente è avvenuto al km 7 della strada nazionale n.95. Testimoni firmatari sono i signori Carlo Benedetti, disegnatore presso la S.T.E.P. presente in veste di cronometrista della squadra al controllo orario, e Raffaele Ostuni.

Cau, partito dopo di lui, giunge al controllo orario e viene informato che un pilota sulla Vespa si è appena ucciso lungo il percorso. Non gli pare possibile, in quanto egli stesso è scattato per ultimo, ma non è al corrente dell’errore da parte del collega. Rimonta sulla Vespa, rimangia tutta la strada al contrario (circa 35 km) e piomba sul luogo fatale. Nelle ore seguenti viene avvertita la casa madre, e quando Enrico Piaggio in persona viene informato la decisione di ritirare la squadra – composta da altri cinque piloti ufficiali più quattro privati – è quasi immediata e giunge in serata. Contro questa scelta si levano alcune voci, che seguendo il principio “The show must go on” lamentano come il ritiro dalla competizione significhi per Piaggio l’abbandono di ogni speranza di vittoria nel campionato nazionale, come se di fronte alla morte avesse valore il crudo risultato di una corsa di motociclette.

Il giorno 11 a Potenza viene reso omaggio al “caduto per il progresso”: una colonna di centauri del Moto Club cittadino con in testa il labaro dell’associazione scorta il feretro da Tito sino a Piazza XVIII Agosto, dove ad attenderlo ci sono il sindaco e tutte le autorità. Motociclette, Vespa e Lambretta formano un imponente corteo coi fari abbrunati. Al seguito anche l’ing. Vittorio Casini e i compagni, arrivati da Cosenza. Si giunge alla chiesa di S. Francesco, dove viene impartita la benedizione e quindi si procede a una sorta di prima cerimonia funebre presso il cimitero tra due ali di folla, dove tutti i motociclisti presenti fanno rombare i motori in segno di rispetto. 

Nel frattempo, Pontedera è in lacrime per questo suo figlio, e Piaggio in segno di lutto sospende il lavoro nello stabilimento per un intero giorno. Al rientro della salma, che avviene il martedì successivo, vengono celebrati i funerali solenni, con un corteo che attraversa la città sino al Duomo cittadino, dove si svolge l’ultima cerimonia di addio. Gastone Castellini lascia la giovanissima moglie Nicla nella casa al Villaggio Piaggio sola, senza eredi, con una vita da ricostruire. 

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