Il Congresso Nazionale di Sorrento nel 1956: il Vespa Club d’Italia dà battaglia…

“A Sorrento si svolgerà nei giorni 21 e 22 del corrente gennaio, il Congresso annuale del Vespa Club d’Italia e si può affermare che è molto viva l’attesa per questa assise del nostro vespismo. Per la settima volta i Presidenti dei Vespa Club italiani si riuniranno nel clima di una fattiva concordia di animi e di cuore e valuteranno insieme il percorso compiuto non certo breve, ed i traguardi raggiunti, non pochi, dal nostro Sodalizio. Verrà inoltre considerato il bilancio del 1955 che non si chiude in passivo e verranno ampiamente discussi quegli argomenti che rimangono alla base della organizzazione e della vita sociale del Vespa Club d’Italia.

Ma se è vero che durante il 1955 si sono registrati nuovi successi organizzativi che hanno trovato la loro più alta espressione nel Criterium di San Remo e nel Giro dei Tre Mari è anche vero che, per la prima volta dalla sua fondazione, il Vespa Club d’Italia si è trovato di fronte alla improvvisa quanto irragionevole sospensione di una sua gara, che avrebbe dovuto svolgersi sulle strade dell’Italia Centrale partendo da quella Perugia che, in tempi migliori, aveva una luminosa tradizione d’ospitalità e di sportività.

Ed è anche vero che la minaccia della patente di guida e una diffusa campagna contro la motorizzazione leggera hanno impegnato, durante l’anno trascorso, il Vespa Club d’Italia in una lotta accanita per riaffermare in modo inequivocabile il diritto alla libertà di circolazione. Ma già alla Conferenza di Stresa, dove i “papaveri” delle strade e dei trasporti brillavano per la loro assenza, imposta soprattutto dalla vergogna di non aver mantenute le promesse fatte negli anni precedenti, si era capito che, ancora una volta, la motorizzazione leggera era destinata a divenire il capro espiatorio della irragionevole lotta che si muove al motorismo in generale.

Ora il Congresso di Sorrento si può considerare “necessario” perché riunirsi quando si è fatti bersaglio, è non soltanto utile ma anche doveroso, e non soltanto per la difesa dei nostri legittimi interessi ma anche per sagguare, attraverso un più vivo e stretto contatto, la saldezza e l’efficienza della nostra struttura associativa. L’ordine del giorno del prossimo Congresso pone sul tappeto i problemi più vitali del nostro sodalizio e si può essere certi che dalla discussione serena e appassionata non mancheranno di derivare risultati intesi a perfezionare e potenziare la struttura del Vespa Club d’Italia.

Quel che si raccomanda caldamente ai Presidenti delegati è di considerare il loro apporto al Congresso su un piano generale e non riflettere unicamente le esigenze e gli interessi del proprio Vespa Club. Queste esigenze e questi interessi particolari potranno sempre essere trattati in separata sede, invece a Sorrento tutti i delegati, nessuno escluso, dovranno occuparsi e preoccuparsi del Vespa Club d’Italia, e della sua efficienza quale ente nazionale in rapporto con altri enti e della sua funzionalità coordinatrice in rapporto a tutti i Vespa Club affiliati. Ancora una volta il mondo dei motori rivolgerà la sua attenzione sul Congresso del Vespa Club d’Italia e noi ci auguriamo ancora una volta si possa offrire una dimostrazione di vitalità inquadrata in una concorde fattività, intesa a potenziare e favorire la diffusione della motorizzazione leggera e la sua capacità associativa”.

Così scrive, nel proprio editoriale, Renato Tassinari sul giornale dei vespisti italiani, presentando il settimo Congresso Nazionale. La ferita dell’annullamento del Giro dell’Italia Centrale brucia ancora: il Presidente tiene a specificare che mai era accaduta una vicenda del genere a una prova vespistica, lasciando intendere che si tratta di un segnale lanciato nei confronti del sodalizio (“quando si è fatti bersaglio”) che non può essere preso a cuor leggero (tanto che l’episodio si ripeterà nel 1957). Chiama dunque tutti a raccolta, chiedendo a coloro che interverranno a Sorrento di mettere da parte personalismi e interessi di parte e lavorare solamente per il bene comune: d’altronde, è evidente, se il Vespa Club d’Italia “c’è” e funziona, la vita dei club periferici potrà continuare e a prosperare; in caso contrario, le cose cambierebbero radicalmente per tutti.

Tra i tanti punti all’ordine del giorno, il numero 13 riguarda il “Progetto di legge patenti per motoveicoli”, che nel mondo del motociclismo è visto come la discesa del Diavolo sulla Terra. In questa metà del decennio, si tratta del principale argomento di discussione tra coloro che utilizzano mezzi a due ruote. Il 27 dicembre del 1955 si tiene a Milano una riunione in merito, organizzata dalla F.M.I., alla quale prende parte pure Manlio Riva, vicepresidente del Vespa Club d’Italia. Il suo intervento è chiaramente contrario all’introduzione del nuovo documento, contenendo tra l’altro queste parole: “Creda il Sig. Ministro che la patente non è nessun toccasana per dare alla circolazione un aspetto migliore e più sicuro. Non è neppure, secondo le sue dichiarazioni, un aiuto alle finanze dello Stato perché fra stampati, impiegati, ecc. la spesa sarà maggiore di quella percepita. Sarà soltanto un motivo per creare un nuovo intralcio all’industria motociclistica italiana con conseguente impoverimento del reddito nazionale e la creazione di nuovi enti burocratici. Sarà una dimostrazione alle categorie più disagiate del non voler tener conto del loro diritto ad un miglioramento del tenore di vita. L’esame attraverso la dimostrazione di conoscenza delle segnalazioni stradali è una trovata veramente fanciullesca. Colui che viaggia sulle strade di grande o piccola comunicazione, sia in auto, che in moto come in bicicletta, ha l’obbligo sacrosanto di conoscere tali segnalazioni. Se dimostrerà il contrario la legge ha il diritto di colpirlo. Ed allora lo faccia con tutti i rigori. Noi motociclisti non chiediamo né compatimento, né clemenza. Siamo cittadini come tutti gli altri aventi gli stessi diritti e gli stessi doveri. E quando sbagliamo sappiamo pagare personalmente. D’altra parte possiamo dire, ed affermarlo forte che, senza volerci atteggiare a vittime, i rigori dei preposti al traffico stradale non sono stati, in alcuna occasione, attenuati nei riguardi dei motociclisti. Si continui pure su questa strada ma di dimostri che davanti alla legge siamo tutti precisi. Il Vespa Club d’Italia, e questo per quanto mi riguarda, ha attraverso le due centurie di suoi sodalizi periferici dato da tempo la possibilità ai vespisti di farsi una maggiore cultura stradale. Ha offerto pubblicazioni e documentari cinematografici per l’educazione stradale dei suoi soci, e la prova migliore di questa propaganda non dettata dalle attuali circostanze, ma da un sistema di buon senso e di rispetto umano, l’abbiamo avuta nelle manifestazioni che dal 1949 ad oggi riuniscono ogni volta migliaia e migliaia di vespisti senza che mai avvenga un qualunque incidente. Noi proseguiremo su questa strada, l’on. Ministro Angelini ne sia certo. Aiuti egli invece la motorizzazione, e specie quella minore, si abbia a donare una maggior quantità di pane e possibilmente anche di companatico nelle mense dei lavoratori delle industrie interessante (e con essi tutti coloro che da tali industrie mangengono motivo di vita) e faccia infine che le nostre strade possano essere percorse disciplinatamente dalle schiere dei motorizzati in marcia sia verso il lavoro o verso il diletto, ma sempre in modo che il sorriso e la vita prendano il posto dell’angustia e della morte”.

Pure il mite Manlio Riva non la manda a dire all’onorevole Angelini. Il Vespa Club d’Italia e tutto il motorismo promettono che terranno duro, contestando – per quanto loro è consentito – queste nuove disposizioni. Le quali, tutto sommato, non sono prive di senso: le preoccupazioni del legislatore, visto l’enorme aumento delle persone circolanti alla guida di motociclette di qualsiasi genere, puntano a disciplinare l’accesso alla strada attraverso un esame di conoscenza della segnaletica e delle norme di base. Non può essere vero al cento per cento, come pare sostenere Manlio Riva, che tutti coloro che si mettono in strada in sella a una motocicletta o a uno scooter siano automaticamente in grado di non rappresentare un pericolo per sé e per gli altri.

Riva parla a nome del movimento vespistico, che sicuramente è composto da persone coscienti, con la testa sulle spalle, inquadrate in un gruppo nel quale si può rimanere solamente rispettando un certo numero di regole, tra cui spicca il totale rispetto dei valori dell’obbedienza alle leggi. In strada, tuttavia, ci va chiunque (ieri come oggi), e non è detto che ogni nuovo centauro appartenga alla categoria delle persone che fanno di questi valori un patrimonio personale. 

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