1958: come e perché nasce il Campionato Italiano di Regolarità

Al Vespa Club d’Italia, dopo la fine dell’esperienza legata ai successi della 1000 km (ultima edizione nel 1954), manca una manifestazione di livello assoluto, che possa imprimere un marchio indelebile all’attività vespistica e porla al livello delle restanti competizioni motoristiche, senza comunque mai dimenticare che si tratta di un settore monomarca. Per acquisire ulteriore popolarità tra le folle non ci si può certamente mettere in competizione con le gare di velocità, che appartengono per natura a moto di tipologie ben differenti, con potenze superiori anche se di cilindrata più bassa, e possono vantare una tradizione che affonda ai primi decenni del secolo, ma quanto realizzato negli anni Cinquanta ha lasciato capire che uno spazio di manovra nel quale poter agire c’è, mettendo in piedi un piccolo “circo” di respiro nazionale basato su prove di regolarità. Ovvero, una specialità non spettacolare come la velocità pura, ma capace di attirare attenzione in quanto si svolge su arterie normali, aperte al traffico, e quindi appartenenti alla quotidianità di chi segue dal bordo della strada.

Vespa ha già ampiamente dimostrato di saper tenere alti livelli di rendimento su tutti i terreni: dalla pista di Monza alle “strade bianche” del meridione, in rettilineo come in curva, in salita come in discesa. E per affermare una volta di più, e in maniera definitiva, che il Vespa Club d’Italia rappresenta e lega davvero le genti della Nazione intera, occorre una manifestazione su più prove alla quale assegnare la denominazione di “Campionato Italiano”.

Che esiste praticamente in tutti gli sport, in quel momento, tranne che nel vespismo, e alfine la lacuna viene colmata verso la fine del 1957. Il 12 ottobre di quell’anno si tiene a Milano una riunione del Consiglio Nazionale, nel cui ordine del giorno c’è anche l’impostazione di un programma – seppure ancora abbozzato – per la successiva annata. Il VCI organizza dal 1953 il “Giro dei Tre Mari”, che raccoglie un grande successo di spettatori e dimostra validità dal punto di vista tecnico, assolvendo alla funzione per la quale è stato ideato (ovvero la promozione della motoleggera nel Sud del Paese) ma rimane comunque una prova delimitata in un arco di tempo abbastanza ristretto, nemmeno una settimana, quindi non copre (e dunque non suscita interesse a lungo) tutta la stagione. 

Chi mette maggior energia nel volere la nascita di questa nuova creatura è Renzo Castagneto, Direttore sportivo e uomo di corse di velocità, ma pure organizzatore senza eguali nella capacità di risolvere i problemi, o meglio di non farli nemmeno sorgere (la Mille Miglia automobilistica è una sua creatura). Sa bene, Castagneto, che si tratterà innanzitutto di un esperimento, perché sino a quel momento non sono mai state messe in piedi manifestazioni vespistiche così articolate nel corso di un intero anno, e non è possibile immaginare quale potrà essere la risposta di concorrenti e pubblico. Ma il Vespa Club d’Italia non ha mai avuto paura di sbagliare, e quindi si procede come un sol uomo, con grande fiducia nelle proprie capacità.

Nasce il campionato. La proposta viene accolta senza indugio, e formalizzata al successivo Congresso Nazionale, che si tiene a Pescara l’11 e 12 gennaio del 1958: l’anno precedente si sono disputate diciassette gare di regolarità in giro per la penisola nell’arco di poco più di cinque mesi, dunque fra le tre e le quattro al mese. Ciò significa che il terreno fertile su cui piantare un albero dalle forti radici esiste, per quanto riguarda la partecipazione alle prove ma anche per la passione che esso può suscitare tra gli appassionati. La 1000 km era stata una manifestazione riservata al nord, il “Tre Mari” è al contrario tipicamente meridionale: è ora che tutto lo Stivale si unisca – vespisticamente parlando – in una sorta di “Giro d’Italia” (inizialmente messo allo studio proprio con questa denominazione ma poi abbandonato per non fare il passo più lungo della gamba), come lo stesso Castagneto lo definisce nella propria relazione al Congresso. 

Al momento di studiare la formula, è evidente che non si può prevedere un calendario che obblighi i partecipanti a prendere parte a tutte le gare: in fin dei conti il vespismo appoggia i piedi sulla passione spontanea, non sul professionismo, anche se alcuni lo prendono veramente sul serio, quasi come un “lavoro stagionale”. Non ci sono case motociclistiche a stipendiare i piloti: ognuno fa da sé, ci mette i soldi di tasca propria, magari supportato dal proprio club, per veicolo, spostamenti, annessi e connessi. 

Dunque, si opta in questa prima edizione per un’agenda che elenca una serie di eliminatorie su base regionale o interregionale, con la qualificazione dei dieci migliori di ognuna di queste prove a una giornata di finale nella quale assegnare il titolo. Una formula consolidata in numerosi altri sport, e che quindi appare giusta ed equilibrata: ciascun concorrente, per conquistare il successo, ha due potenziali colpi in canna: se si sbaglia il primo, però, la festa è finita.
Bisogna inoltre riuscire a “battere” completamente il territorio nazionale, con equità di trattamento per tutte le regioni che lo compongono: è dunque necessaria una prova dedicata esclusivamente alla Sardegna, terra in cui la passione Vespa si è sviluppata a fatica ma comunque con grande vigore negli ultimi due-tre anni. Il calendario viene messo a punto con la definizione di otto “batterie” eliminatorie e una finale. L’Italia viene suddivisa in otto “macroregioni”: Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria; Lombardia; Venezia Euganea, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia e Territorio di Trieste; Emilia-Romagna; Marche, Umbria e Toscana; Lazio e Abruzzo-Molise; Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia; Sardegna. Nei limiti del possibile, nel disegno dei percorsi dovrebbero essere coperte tutte le regioni: non accadrà per ovvie ragioni di chilometraggio. Per la finale, si decide per una scelta tutta settentrionale: si andrà da Genova a Torino. 

Capitolo regolamento tecnico. Ovviamente è quello, classico, delle prove di regolarità. Per stilare la graduatoria vengono prese in considerazione, nell’ordine:
a) il minor numero di penalità riportate ai controlli orario (con tempi cronometrati al secondo, attribuzione di un punto per ogni secondo di ritardo e due punti per ogni secondo di anticipo); sono previsti due controlli orario per le eliminatorie e tre per la finale. 
b) il maggior numero di discriminanti valide (l’ultimo chilometro che precede il controllo orario deve essere percorso a una media tra i 43 e i 45 kmh, che corrispondono a tempi compresi tra 1’20” e 1’23”7, quindi con rilievo cronometrico al decimo di secondo). c) la più alta media delle medie, calcolata sui tratti discriminanti validi. 

A ogni prova eliminatoria potrà prendere parte un massimo di sessanta concorrenti (ma a questa norma si derogherà in più di un’occasione), che debbono essere tesserati per un Vespa Club della regione nella quale concorrono e possedere la licenza della F.M.I. per la regolarità. Naturalmente, ogni aspirante al titolo può partecipare solamente alla gara della sua zona di provenienza.

Come si vede, non viene lasciato indietro nemmeno un particolare per raggiungere l’obbiettivo, quello di portare il vespismo agonistico all’altezza del motociclismo più popolare, che vive nei circuiti e sulla velocità. Le Vespa dei concorrenti saranno ancora una volta chiamate a lasciare per le vie di città, paesi e piccoli borghi il loro messaggio di efficienza affascinando col caratteristico ronzio grandi e piccini, e al contempo i vespisti dovranno dare saggio delle loro abilità nella guida ma anche dimostrare il massimo rispetto del codice della strada e delle norme di civile circolazione, un vero dogma per il Vespa Club d’Italia. Entrambi i risultati, anche questa volta, saranno centrati in pieno.

Le otto eliminatorie sono nell’ordine: Trofeo della Sardegna (Sassari-Cagliari di 437 km) cinto da Gabriele Locci (Cagliari); Trofeo del Mezzogiorno (Caserta-Bari di 420 km) vinto da Stefano Di Girolano (Caserta); Trofeo di Lombardia (Pavia-Mantova di 414 km) vinto da Franco Federici (Mantova); Trofeo delle Tre Venezie (Trento-Trieste di 470 km) vinto da Luigi Cordiglia (Trieste); Trofeo Ligure Piemontese (Casale-Asti di 412 km) vinto da Guido De Rossi (Genova); Trofeo Lazio-Abruzzi (Terni-L’Aquila di 480 km) vinto da Giovanni Caproni (Roma); Coppa dell’Appennino (Salsomaggiore-Rimini di 347 km) vinto da Armando Battilani (Bologna); Trofeo Tosco-Umbro-Marchigiano (Livorno-Ancona di 361 km) vinto da Annibale Coletti (Perugia). La finale è in programma il 22 settembre sul percorso Genova-Torino di 361 km.

Ad aprire le danze, alle 8 del mattino di quel giorno, è un “pezzo grosso” del vespismo agonistico. La prima bandiera si abbassa davanti alla Vespa di Giovanni Caproni, portacolori del Vespa Club Roma, un vero gentleman ancor prima che eccellente regolarista e non solo. Su Genova, quella mattina, non splende il sole: d’altronde la stagione è già avanzata, siamo al secondo giorno d’autunno, e forse qualcuno pensa che ci si è spinti troppo in là. 

Per fortuna la pioggia che durante la notte ha abbondantemente bagnato le strade della Liguria decide di durare ancora per poco: è sufficiente una mezz’ora di pazienza perché il tempo si rimetta quel tanto che basta per far viaggiare i concorrenti su un tragitto meno pericoloso. 

Per la finale (al contrario delle prove eliminatorie) sono previsti tre controlli orario anziché due: il primo di questi è fissato a Imperia, quello successivo a Cuneo, e ovviamente il terzo sulla linea del traguardo posta al Parco del Valentino di Torino. Uno dei tratti più impegnativi è quello della salita del Colle di Novi, dove Vespa e vespisti sono chiamati a dare il meglio di sé. Superata Cuneo, la marcia di avvicinamento verso Torino prosegue attraverso Saluzzo e Pinerolo.

Sui meravigliosi viali che accolgono il traguardo giungono nove concorrenti senza penalità: il reggiano Corradini, i bolognesi Jori e Bosi, il genovese Vacca, il vicentino D’Ambrosi, il romano Angelo Pesce, il perugino Coletti, il pescarese Marullo e il napoletano Colantuono. L’ultimo chilometro, quello che funziona come tratto discriminante, è delimitato ai bordi del viale del Valentino, che dal Salone dell’Auto porta al Castello.

Come sempre, a comandare la nutrita pattuglia di cronometristi c’è Guido Roghi, dalle labbra del quale pendono i cuori di tutti. Dopo un febbrile lavoro di controllo e ricontrollo, non essendo permesso il minimo errore, il verdetto premia Domenico Colantuono, che conquista così il primo titolo nazionale nella regolarità e si ritaglia un posto in prima fila nella storia del vespismo italiano.

Ha ventidue anni e con la Vespa, oltre che divertirsi in corsa, ci mangia: è infatti titolare di una piccola officina di servizio, e non è certo l’ultimo arrivato tra i regolaristi. Ha infatti preso parte al Giro dei Tre Mari del 1956, oltre che a numerose manifestazioni, soprattutto in Campania e nel Lazio, anche se l’unica vittoria l’ha ottenuta alla prova di regolarità che si è tenuta nello stesso anno a Santa Maria Capua Vetere. 

Lo premia naturalmente il Presidente del Vespa Club d’Italia, Renato Tassinari (il quale ha seguito tutta la manifestazione a bordo di una Vespa 400), che al termine si complimenta con il vincitore e con gli sconfitti. Colantuono si aggiudica una GS, Corradini una 150 e Jori una 125: tutti e tre poseranno in sella ai rispettivi premi per una fotografia passata alla storia. 

In attesa dell’arrivo dei concorrenti, dalle tribune – stipate come la giornata merita – piovono applausi per l’esibizione della ormai famosa in tutta Europa squadra acrobatica Piaggio, appositamente venuta da Pontedera, composta da Ermanno Risaliti, Ivo Granchi, Luciano Chiarugi, Franco Cipolli e Paolo Mazzanti, che diverte le folle con esibizioni al limite, e per quella egualmente meritevole del Vespa Club Trieste, diretta da Ugo Miazzi.

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